Ven. Mar 29th, 2024

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Criptovalute e crimine

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Criptovalute e crimineCriptovalute e crimine

Criptovalute e crimine. Le criptovalute sono realmente uno strumento per l’economia criminale? Il dibattito sulle criptovalute continua ad essere molto animato. Se da un lato troviamo chi continua a ritenerle un fenomeno destinato a sgonfiarsi rapidamente, dall’altro c’è chi invece pensa che esse possano avere un ruolo ben preciso nell’economia del futuro, andando in particolare a fungere da moneta per le transazioni che avvengono online.
C’è però un altro problema che sembra destinato a far discutere molto, ovvero quello relativo al fatto che esse possano invece diventare uno strumento in grado di aiutare la grande criminalità nelle proprie attività illecite.




Le accuse di Davide Serra

Continuiamo a parlare di criptovalute e crimine. A rilanciare con grande forza la tesi di chi vede in Bitcoin e nelle sue sorelle il mezzo più adatto per aiutare l’economia illegale è stato Davide Serra, il fondatore di Algebris, il quale non ha usato perifrasi accusando le divise digitali di essere una vera e propria lavanderia per soldi sporchi.
La sua tesi è stata prontamente rintuzzata da più parti, ricordando in primo luogo che proprio la tecnologia blockchain permette in effetti di registrare ogni transazione, impedendo quindi il totale anonimato a chi la effettua.
A sostegno di Serra, è però arrivato anche il Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia, Giuseppe Borrelli, il quale non ha avuto remore ad affermare come le criptovalute siano tra gli strumenti preferiti dalla Camorra per riciclare capitali sporchi e reinvestirli.




Uno studio australiano confermerebbe l’assunto di Serra

Un’altra conferma in tal senso verrebbe poi da uno studio, quello guidato da Sean Foley dell’università di Sydney, Jonathan R. Karlsen del Politecnico di Sydney e Tālis J. Putniņš della Stockholm School of Economics, sede di Riga, secondo il quale addirittura il 44% delle transazioni realizzate in Bitcoin sarebbe collegato ad attività illegali.
Il report, dal titolo “Sex, Drugs and Bitcoin: How Much Illegal Activity Is Financed Through Cryptocurrencies?”, è stato elaborato utilizzando una serie di algoritmi che hanno infine condotto al risultato finale. Una tesi ben differente da quella portata avanti da un altro studio, stavolta risalente a tre anni fa, della Cornell University, secondo il quale l’utilizzazione delle monete digitali sarebbe molto più rischioso di quello rappresentato dai canali tradizionali. La questione del collegamento tra criptovalute e crimine rimane molto “calda”. Solo i prossimi anni potranno dirci chi abbia realmente ragione.




 

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